Carlo Bordini

L'Unità, 5 Marzo 2004



La saggezza di perdere tempo





E' uscito da poco (alla fine del 2003) Una bella perdita di tempo, di Marina Mariani (Quasar edizioni, 8 euro). Sono testi di articoli pubblicati su l'Unità tra il 2000 e il 2002, e brani tratti da trasmissioni di RadioTre tra il 1993 e il 2000. A questo è aggiunto un bel racconto, Piazza bella piazza. Marina Mariani è soprattutto una poetessa, e quelle di Una bella perdita di tempo sono prose anomale, che della poesia hanno la capricciosa incoerenza e, forse, la delirante coerenza. Un libretto aereo e svagato, che non si concentra mai su un unico obiettivo.
È un divagare solo formale, apparente. Le brevi prose aumentano di valore rincorrendosi l'una con l'altra, e ne viene fuori un discorso non organico, ma incisivo. È un libro affettuoso, di affetto verso le idee e le persone, di idee sedimentate in tanto tempo ed espresse con apparente semplicità: sulla poesia, sulla musica, sul cinema, sulla vecchiaia: pillole di ribellione ai luoghi comuni, saggezza fuori degli schemi che va spesso molto a fondo, e a volte ricorda i Minima moralia di Adorno. Non a caso l'autrice ama le Scorciatoie di Umberto Saba, brevi prose per i giornali poi raccolte in un libro, ed ama ancor più la leggerezza del Bertolucci giovane. Ed ama molto il cinema e la psicanalisi.
Ma Marina Mariani è soprattutto una poetessa e l'uscita di questo libro è l'occasione per parlare dei suoi due libri tardivi, anche se Marina Mariani è stata pubblicata in raccolte prestigiose come nell'antologia Poesia Tre (Guanda, 1981) e Nuovi Poeti Italiani 2, (Einaudi, 1982) e ha avuto l'attenzione di critici importanti, come Cattaneo, Leonelli, Berardinelli. A prima vista si ha l'idea di una poesia semplice e comunicativa, gnomica, assertiva, ma la poesia di Marina Mariani è molto meno semplice di quello che sembra. Certo, conversazione (i suoi due libri di poesia si intitolano La conversazione e Il gioco delle costruzioni, entrambi editi da Quasar, il primo nel 2000 e il secondo nel 2002), comunicazione, poesia civile, semplicità, ironia, ma dietro questa semplicità e questa limpidezza (notata anche da Filippo La Porta) ci sono una serie di increspature che spaziano in tutte le direzioni. Si direbbe che la classicità di questa poesia, una sorta di saggezza oraziana, sia la porta d'ingresso comune per una sorta di temi, un'ancora solida e apparentemente tranquilla da cui questi temi possono partire.
Il distacco di Marina Mariani parte sempre da una passione. La sua è una poesia filosofica e riflessiva, che tende ad approfondire. Che butta a gambe all'aria la realtà, che tende a scavare, a guardare anche dentro se stessa, a méttere in rilievo gli aspetti assurdi della realtà. È una poesia che ha sempre una cifra etica. È come se la Mariani, in un mondo di menzogne, cercasse continuamente la verità, una verità nascosta, che si mimetizza in mille modi, e che è difficilissimo trovare. A volte questo frugare nell'assurdo, questo demistificare l'assurdo, può giungere fino al delirio. Non a caso Giulio Cattaneo ha definito la poesia di Marina Mariani «legata alla realtà, ma dagli esiti visionari e metafisici». La Mariani mischia a volte fra loro aspetti di realtà, molto banali, ma in modo da renderli incomprensibili, o da mettere piuttosto in rilievo la loro incomprensibilità, dando luogo così a una specie di caos metafisico. La poesia Tu tieni la matassa fa pensare a Chagall: «Tu tieni la matassa io arrotolo il filo / questa immagine vecchia forse è antica / forse siamo le Parche //... / Sto diventando cieca mentre il mondo è più chiaro / mi tiro dietro le nuvole come aquiloni / così tutto s'annera / mentre le donne volano sopra le nuvole guidando aeroplani / ...». Oppure, in Verso l'aeroporto: «Pensieri di cose che si vanno perdendo, / parole diverse - e poche. "Una farfalla / è entrata nella macchina" - "una vespa..." / "Hai paura? Su, apri il finestrino." // ... /Il viola si fa grigio piano piano, / d'un tratto è inverno. Infine un tentativo, / l'ultimo. E in fondo, gliene sono grata. / Accompagno qualcuno all'aeroporto, / e si fa sera». (Entrambe in La conversazione).
C'è sempre, in questa poesia, una critica ostinata della realtà apparente. E molto spesso questo scavare critico si distende in una comunicazione conversativa, esplicativa. «/ Dolce amica vecchiaia non mi tradire / proprio adesso che sto per raggiungerti - non ti perdere / nella nebbia fumosa delle pianure fra i pioppi / non mi lasciare in mezzo all'autostrada / chiusa nell'Autobianchi A112. // ... / Le cose se ne andranno, e le persone che invitano / a banchetti spregevoli o idioti si fermeranno in un gesto / come statue di cera ...». (Il gioco delle costruzioni). «... se con un razzo via satellite lanciassimo / le nostre rombanti parole verso lo spirito, / nelle regioni immutabili dove da secoli / con una fronda di mirto una fanciulla gioca; / e se chiedessimo ad un cervello - calcolatore / elettronico con lettore ottico per cui nemmeno / bisogna perforare le schede / di rimandarci indietro le parole selezionandole / dopo che quelle regioni hanno attraversato, / io chiedo a voi che cosa tornerebbe. / ...». (Poesia all'aria aperta, in La conversazione).
Questa poesia che si mimetizza dietro un'ordinata classicità giunge spesso all'ironia e al crepuscolarismo, a un classicismo disturbato, onirico. « ... Tra le stecche / delle persiane rinsecchite dal sole, figure di gesso / hanno sguardi sull'ombra / e sulla luce della piazzetta - le ore / si avvicendano -i ragazzi / attraversano i loro anni, le spalle / ai fantasmi in agguato, / che li inseguono». (La conversazione).
Ma c'è anche un altro elemento, tra i tanti, da mettere in rilievo: il carattere spesso cinematografico di queste poesie. Poesie a volte fatte di sole immagini, fortemente allusive, di immagini che vogliono parlare, mai fine a se stesse, con un fine comunicativo (una poesia che «un suo pubblico lo ha perché lo vuole, lo sogna, lo aspetta, lo costruisce con pazienza e ansiosa dedizione», ha notato Berardinelli), che testimonia il grande influsso che il cinema ha avuto su questa autrice. Una poesia di grande valore, che andrebbe conosciuta di più, e che come molta poesia contemporanea vive una situazione di marginalità, che occorrerebbe spezzare.