RAI RADIO TRE
dal programma Radio3Suite
del 27-05-2007

Intervista a Marina Mariani
di Guido Zaccagnini

 

 

Guido Zaccagnini – E’ un campo lungo di una vita, un campo lungo cinematografico, un campo lungo poetico, un campo lungo quanto?

Marina Mariani – E’ un campo lungo temporale e, per la prima volta, in questo libro ho messo in ordine cronologico le mie poesie che quindi si perdono nella notte dei tempi in quanto che la prima è del ’44 e l’ultima è del 2006. Questa è una novità perché gli altri libri io li ho fatti con una intenzione… una scelta, diciamo, di argomento. Il primo si chiamava “La conversazione” ed erano poesie che davano notizie di incontri, di occasioni, di spunti presi guardandomi intorno. Il secondo si chiamava “Il gioco delle costruzioni” ed era una riflessione su questi incontri, proprio come quando uno giocava da bambino… il Lego si chiamava (ai miei tempi non si chiamava il Lego) e si mettevano insieme le cose e poi, ogni tanto, cascava tutto e si ricominciava. Questo invece (ahimè!) è un libro che può prestarsi anche ad una lettura di tipo, se vuoi, realistico, cosa che io non vorrei anche se l’ho fatta in questo modo, perché nella poesia il tempo ha uno strano valore. Ci sono cose molto vecchie che sono… le senti come se fossero di oggi, ci sono cose di oggi che sono come citate, come se fossero avvenute e tu le ricordassi.

G.Z. – Questa raccolta: poesie, appunto come dicevi, vecchie, poesie più recenti, ma poesie non pubblicate…

M.M. – In realtà queste poesie sono state pubblicate in vari modi, non tutte…alcune di queste poesie sono state pubblicate in vari modi: su Riviste, su Volumi collettivi Einaudi, di Guanda ,alla Radio, molto, parecchio alla Radio, su Antologie scolastiche, sul Web (sulla rete), quindi il tipo di comunicazione che hanno avuto non è tanto di libri, quanto appunto di questi altri tipi…Una è stata pubblicata addirittura su un quotidiano, sull’Unità, una di queste poesie è uscita…

G.Z. – Hai citato L’Unità: tu hai anche collaborato coi giornali, non in qualità di poetessa, ma di cronista. Cronista, un momento, non nel senso stretto del termine, ma cronista di una città, cronista di una casa, di una passeggiata, di un quartiere. Ecco, quanto si interseca la volontà di raccontare se stesso, il quartiere, una scala, un condomino, un fiore, con la poesia? No, sai perché faccio questa domanda? Perché io ricordo quello che dicesti, una frase bellissima su Dvorǎk: “Dvorǎk mi racconta da dove viene”. Per te è importante questo, tanto nella poesia quanto anche in altre attività?

M.M. – Sì, senza dubbio da dove viene… Ma non solo da dove viene, in questo caso, anche che cosa incontra, tutto quello che è vita, non astrazione, ecco. Il condomino mi piace molto, l’idea del condomino: ho una condomina anch’io, veramente ho una condomina ex attrice, anziana, che mi ha fatto l’onore, il piacere di leggere per me alcune mie poesie, per dirti: insomma, il condomino mi diverte. Certo il condomino, certo la passeggiata, certo l’incontro. Non so… una volta Giulio Cattaneo ha detto che i temi nelle mie poesie sono tantissimi. Ha anche detto che parto dalla realtà, dalle cose di tutti i giorni, mi ha detto, bontà sua, per poi vederli in una prospettiva più alta, se vogliamo, alta no, più fuori, che non è lì. Io qui ho scritto, per esempio, una poesia su Cézanne. Andai a vedere una mostra che c’era a Parigi intitolata “Cézanne, les dernières années”; nel catalogo era riportata una frase da una lettera di Cézanne che diceva: “Dare l’immagine di ciò che vediamo dimenticando ciò che ci è apparso davanti agli occhi”. E poi c’era un commento: “Questa massima riassume la ricerca di una vita”. Ecco,dare l’immagine di quello che vedo, però non l’immagine fotografica di quello che vedo, forse è stata la ricerca del mio tipo di poesia. La poesia è questa:


Marina Mariani legge la poesia Cézanne, les dernières années

 

G.Z. – Un pezzo di realtà. Questi sono tanti pezzi di una realtà vissuta, di una realtà resa poesia. All’interno di questi tanti pezzi tuoi, hai fatto delle scelte, hai fatto delle scelte che coprono un arco abbastanza ampio. Si comincia, se non vado errato, dal 1953: si parla di bambini…

M.M. Te la posso ambientare un momentino? Piazza Mattei, a Roma, è una piccola piazza del Ghetto, molto bella, con una fontana tra le più belle di Roma. In questa piazza c’è stato a lungo un barbiere che è andato via da poco, ed io vidi lì questi bambini:

 

Marina Mariani legge la poesia Bambini dietro il vetro

 

G.Z. – Il fatto di cogliere “due faccine dietro il vetro”, il fatto, anche richiamandomi a quello che dicevi a proposito di Cézanne, ecco, quando tu guardi, ti guardi intorno, dentro casa o fuori, o guardi anche delle immagini che sono ormai proprietà della tua storia e non più della cronaca, qual’è la prima parola che ti viene in mente? Dare queste immagini a te stessa, farle rivivere, enucleare degli elementi che secondo te sono spunti di poesia, oppure evitare proprio l’atteggiamento del poeta, l’atteggiamento creativo? Cioè la ri-creazione, la creazione, l’immagine, l’evocazione, l’espressione, l’impressione…

M.M. – Io credo…Consciamente so poco, francamente, di tutto quello che tu mi stai dicendo. Non è che uno fa, almeno io, una così precisa scelta. Credo che me li voglio conservare io, tutto sommato. E ho trovato, per fortuna, un modo, una piccola arte, riconosciuta nel mondo grazie a Dio, che mi consente di fermarmi e conservarmi queste cose senza… così, in maniera abbastanza normale: esiste questa cosa che si chiama “La poesia”… Forse me li voglio ricordare; un altro farebbe una fotografia, non vedo molto di più di tutto questo.

G.Z. – Ma oggetti, luoghi, persone ti vengono incontro?

M.M. – No, bisogna sempre… Le cose vanno ripensate, non è l’incontro, per me per lo meno; ci sono poeti che sembra che le cose gli succedono sotto gli occhi: Penna, per esempio, è un poeta che, beato lui, che le cose te le fa vedere come se accadessero in quel momento. Ed è un grandissimo poeta. Altri hanno bisogno di ripensarle, le cose. Ti dico questa poesia:


Marina Mariani legge la poesia Come pago gli istanti di silenzio


Insomma, diciamo le due cose: diciamo “l’incontro” e diciamo “la riflessione su l’incontro” e lo scopo è dare a loro una specie dignità particolare, diversa da quella che già hanno per la loro…, di incorniciarle in qualche modo e di dar loro valore.

G.Z. – E questo riguarda sia le cose, le persone, gli avvenimenti per cui ti batti personalmente, ma anche le cose che riguardano la società, tutti. Io ricordo quella poesia del “pescatore prima dello tsunami”, ma leggendo questo libro ho visto anche il fatto di cronaca che ha a che fare con la bomba.

M.M. – Eh… Questa è una poesia nata negli anni ’70, negli anni terribili; forse un po’ pretenziosa:


Marina Mariani legge la poesia Quando cadde la bomba

 

Qui c’è forse un altro tema … la voglia di riunire le cose, di rimettere insieme la roba rotta, i frantumi, cercare di… Il mondo di oggi è in frantumi, è come se avessi questo compito di riunire le cose.

G.Z. – Prima ho sbagliato dicendo che sono raccolte di poesie che tu hai riunito, quanto meno una selezione di queste, in questa pubblicazione, ricordo In campo lungo pubblicato da Quasar. Sono frammenti, spezzoni, lacerti, come li vuoi chiamare per me va bene, che , comunque, secondo te, compongono, magari non un corpo orrendamente mutilato…, ma compongono, ricompongono una vita, la tua vita.

M.M. – Guarda, questo è vero fino ad un certo punto, ed io un po’ lo contesto. Non ho mai voluto fare una biografia, non mi piacciono i diari. Li rispetto, naturalmente, ma non mi interessano, non è la mia vita, questa. Ci sono, naturalmente, delle cose che hanno a che vedere… ma proprio perché non volevo che fosse la mia vita ho fatto le poesie.

G.Z. – Ma la scelta di queste poesie, la scelta che hai fatto tu, l’hai fatta a caso tirando i dadi, oppure secondo dei criteri.

M.M. – Oh senti, i criteri lasciamoli perdere! Le cose si mettono insieme come si può. Certo dei criteri, cercavo che avessero un minimo di… non facessero a cazzotti, come si dice, l’una con l’altra. Ci sono io e c’è il periodo in cui ho vissuto: queste due cose più o meno qua dentro ci stanno! Poi, vedi, secondo me, chi scrive poesie meno parla delle sue…, meglio è. Chi scrive poesie già parla troppo, perché scrive le poesie che nessuno gli chiede. Ma perché si devono scrivere le poesie e uno le deve leggere? Non esiste.

Secondo: chi scrive poesie fa delle domande, quello che desidera è la risposta, non continuare a parlare sopra. La risposta, spesso, è la cosa più bella. Uno che scrive versi, quello che chiede è all’altro di dare qualcosa, al lettore. La poesia esiste se un lettore la legge. Se non la legge un lettore, non serve proprio a niente, non c’è nel mondo, come una musica se nessuno la ascolta, ma a che serve.

G.Z. E’ vero che non ci sono criteri, forse, con i quali… o per lo meno sono criteri di cui non ti va di parlare, con i quali hai scelto queste poesie? Insomma, è vero che un’idea, un’idea di Marina Mariani, attraverso la poesia, a te piacerebbe dare, attraverso il mezzo radiofonico, attraverso, ovviamente, la lettura solitaria, meditata.

M.M. – No. Io non credo che sia importante Marina Mariani, non ho mai pensato… io sono d’altri tempi, sono vecchia. Eugenio Montale chiamava il poeta un “trovarobe”, I poeti dei tempi in cui studiavo io facevano i professori, tranne uno: D’Annunzio, ma quello era diverso, era uno, quello. Poi noi abbiamo avuto tutto un periodo in cui… Ungaretti un po’ era Vate se vogliamo, ma Montale, Sereni, Caproni, ma chi erano? Che me ne importa a me di sapere chi è Caproni. A me interessano le sue stupende poesie. Anche nella scelta che ho fatto, casomai, siccome un po’ di radio, come sai, ne so, credo che le poesie (questa è un’altra cosa che mi ha detto Giulio Cattaneo, guarda lo sto ri-citando)…mi ha detto che io non dico mai una cosa, in poesia, senza accompagnarci un’immagine. Cioè non mi piacciono le prediche, alla radio in particolare. Io trovo che la Radio è una delle più belle creatrici di immagini. Tu stai alla radio e sogni, allora, se io ho cercato una scelta, non ho voluto dare in’idea di Marina Mariani, che non gliene importa, secondo me, niente a nessuno. Ho scelto delle poesie che mi sembrava che si prestassero ad essere ascoltate da un ascoltatore radiofonico piuttosto che…Sai, il lettore, se la legge, ci pensa, chiude, ci ripensa. L’ascoltatore, poveraccio, gli buttiamo addosso della roba, cerchiamo almeno di non affliggerlo troppo…

G.Z. – Secondo te come va letta una poesia? Chiaramente può essere letta dovunque, con chiunque forse, in compagnia, da soli, in metropolitana… C’è qualcosa che ti piace (perché prima parlavi della bellezza della radio come creatrice di immagini), ecco, questo valore aggiunto della radio, non può nuocere, per esempio, alla poesia che già di per sé è una creatrice di immagini?

M.M. – Non direi. La poesia è nata ad alta voce, è nata letta. La poesia ad alta voce, secondo me, anzi, forse per me è il modo più naturale, non credo che ci sia una sovrapposizione di immagini, non vedo perché. Chi legge, effettivamente, dà una sua interpretazione, una sua lettura, questo è vero. La lettura, invece, dal testo è più libera, se vuoi, questo sì…

G.Z. – Un poeta può leggere anche male le proprie poesie, non è vero?

M.M. – Sì. Può leggerle anche male. No, male in relazione a che? Le legge come lui le sente, come lui le vuole leggere, non direi… Ma male e bene che significa, in questo caso…

G.Z. – Significa, in questo caso, per esempio, adesso stavo pensando alla musica, non tutti i compositori sono i migliori interpreti di se stessi.

M.M. – Eh, guarda, mi poni un problema che non te lo so tanto dire. A me piace sentire le mie poesie lette da altri, perché mi aiutano a capirle.

G.Z. – Ti è mai capitato di ascoltare un attore, un’attrice, una persona che non di mestiere fa l’attore, leggere in modo diverso i tuoi versi, che però ti è piaciuto, perché magari in questa lettura hai scoperto qualche cosa…

M.M. – E’ quello proprio che ti dico, mi piace moltissimo. La più grande soddisfazione,per me, è quando qualcuno mi legge i miei versi. E’ una grande gioia per me.

G.Z. – Ci avviciniamo nel tempo, arriviamo al 1992, la data di A mia madre

M.M. – Qui forse, indubbiamente, c’è qualcosa di un po’ personale. E’ un ricordo, praticamente è solo un ricordo, però certo c’è qualcosa. Noi passavamo molti mesi dell’anno in una casa in collina, in Ciociaria, e questa casa apriva su un panorama molto vasto… e questa poesia è ambientata lì.

 

Marina Mariani legge la poesia A mia madre

 

G.Z. – Prima ho parlato di musicisti che forse non erano i migliori interpreti di se stessi: Maurice Ravel tentò di suonare, per esempio, con scarsissimo successo il suo “Concerto in Sol per Pianoforte e Orchestra”, anche perché aveva scoperto che a suonare si guadagnava di più che a comporre. Poi ripiegò, il concerto lo suonò… la prima interprete importante fu Marguerite Lang e lui si limitò a dirigere l’orchestra. Con Ravel, che so essere un autore da te particolarmente amato, io vorrei finire la poesia di tre anni fa (2004) La Valse

 

Marina Mariani legge la poesia La Valse

 

L’intervista si conclude con l’ascolto di La Valse di Maurice Ravel