Sgombrare - fare lo sgombero - traslocare
fare spazio - eliminare il superfluo chiudere tutte le porte - impedire l'accesso. Mettere fiori nei vasi - sopravvivere acquistare cibo -fare scorte - prepararsi all'assedio. Aprire uno spiraglio con circospezione lasciar entrare gli gnomi -frequentare i boschi - invitare gli amici Percorrere le strade della città - traversare le piazze incontrare gli amici - conversare. Marina Mariani, Quattro di maggio da La Conversazione, Quasar editore |
Alfonso Berardinelli
Periodico Liberal –18 marzo 1999 Recensione del libro La Conversazione Marina Mariani C'era una volta una favola in versi La Conversazione è il titolo molto appropriato e amabile di un libro poeticamente importante (va detto) che Marina Mariani ha pubblicato da poco. Ma questa conversazione del titolo è avvenuta? La si aspetta? E' una rassicurazione? E' un'utopia? Marina Mariani probabilmente non lo sa. Per questo la conversazione (in presenza, in assenza) è un po' dovunque. Della conversazione queste poesie hanno il ritmo, il passo. Poi però, una volta preso il loro avvio, si prendono anche un diverso spazio e tempo: la conversazione continua in monologo. E il monologo quasi sempre diventa qualcos'altro: una storia o storiella o favola che bisogna raccontare anzitutto a se stessi per trovare le buone e le cattive ragioni della vita, per rivedere come in un film le sue visioni più confortanti e quelle più allarmanti. Infatti, come si sa, lì dove era il pericolo, era anche la salvezza.
Marina Mariani, che volentieri, per tranquillizzarsi (per dire subito una verità che metta a posto e a tacere questioni fastidiose e forse false) si dichiara «poeta minore», lo fa scrivendo una bella lettera in versi caproniani a Giorgio Caproni: ma lo fa, credo, non solo per ammirazione e amore di poeta a poeta. Lo fa perché ha bisogno di enunciazioni e definizioni semplici e fattuali. La favola della vita ha una morale che non ci è mai del tutto chiara, ma va detto in parole enigmaticamente chiarissime. Come per esempio: «Tu tieni la matassa io arrotolo il filo - questa immagine vecchia forse è antica - forse siamo le Parche». Se la conversazione va a finire così spesso in un «c'era una volta» è chiaro che l'imperfetto narrativo deve avere parecchi privilegi nelle poesie della Mariani. Succede spesso nei poemetti (nei quali l'autrice dà il meglio: dà tutto). In Cancellazione e fine troviamo un'epica portatile, miniaturizzata, a definizione della nostra epoca (e c'è un po' quel tono da epica ideologica minimale, quasi a uso infantile, che si trova in certi saggi di Elsa Morante). Un'altra modalità stilistica è quella del proposito o della resa dei conti: con i verbi all'infinito (Donne al forno, Quattro di maggio, Dire addio). Qui la Mariani parla il linguaggio dell'etica o della desolazione. Circola un'aria da nuovo inizio. Ma si sa quanto i nuovi inizi abbiano un sapore di lacrime e un colore di lutto. Tra parentesi e in conclusione dico che la musa didascalica (o autodidattica) è forse la più assidua nelle poesie di Marina Mariani: una musa più disperata che edificante, una musa da soccorso in extremis, invocata per non perdersi del tutto, da adulti, nel gioco di specchi e nel labirinto della vita. «La storia termina quando si fa ciò che si deve senz'esitazione e proteste» ha scritto Svevo da vecchio. La Mariani lo sa. Per questo esita e protesta educatamente facendosi aiutare dai bambini dell'ultima poesia del libro: al di qua delle leggi, loro, e ancora in estasi. |