Gianna Sarra
Leggendaria–2000 Recensione del libro La Conversazione con intervista a Marina Mariani In attesa di me stessa Si snoda proprio con l'andamento rilassato e ironico, con la ragionata lentezza di una intelligente conversazione, condotta con agio attraverso gli eventi e le molte figure di una lunga vita, la raccolta di versi di Marina Mariani, La conversazione, finalista al premio Viareggio 1999. Esordire in poesia a settant'anni non è da tutte, anche se la poesia è stata compagna dell'esistenza e se il primo vero libro viene preceduto da tante apparizioni su ottime riviste (La fiera letteraria, Nuovi Argomenti, Paragone, Linea d'Ombra), dall'attenzione di critici importanti, dall'inclusione nell'almanacco Poesia tre (Guanda, 1981) e nel volume Nuovi poeti italiani (Einaudi, 1982). Marina Mariani è nata nel 1928 a Napoli ma vive fin dal 1936 a Roma, dove si è laureata in Filosofia dopo il liceo e due anni di Fisica; ha lavorato a lungo alla Rai tenendovi un ufficio di corrispondenza con gli ascoltatori e curando programmi culturali per Radio Tre. Suoi estimatori sono Alfonso Berardinelli, che l'ha recensita su Liberal (n. 54), l'ha presentata al Teatro dell'Orologio a Roma lo scorso marzo e l'ha inclusa in una sua personale antologia di poeti prediletti, Filippo La Porta, e Sara Zanghì, che l'ha segnalata su Noi donne. Queste figure di critici e lettori, sorridenti appassionati sommeliers della sua poesia, diventano poi, o sono ab initio, anche suoi amici. Dell'amicizia lei ha un senso molto alto che confida in una leggerezza rara, come si vede in una delle poesie più citate, I miei amici, presente tra l'altro in un'antologia per le scuole: «I miei amici / non mi cercano, non m'invitano a pranzo, / non mi telefonano mai; / non mi mandano auguri per Natale / ma sono miei amici...». C'è un mistero attorno a questi versi, al tempo stesso narrativi e metafisici - sembrano cioè riferirsi a un lontano passato e anche alludere a un probabile, astruso futuro, scritte come sono al margine d'un personale "orizzonte degli eventi", quella linea da cui le stelle che implodono in buchi neri mandano la stessa luce...
La poesia di Marina, con una sorta di docile e puntigliosa lentezza come d'una bambina ostinata a farsi capire a ogni costo, suggerisce che un poeta non può vivere sbadatamente. Mentre vive scrive, scrive cioè anche la sua vita. Tutto diventa scrittura, ogni parola detta o pensata o trattenuta. Ogni telefonata. Le chiedo qual è stato il senso della sua vita in tutti questi anni in cui era un poeta oscuro. La poesia era per lei una forma di autoanalisi, una compagnia, una filosofia? «Di quello che mi chiedi so poco. Ma qualcosa certamente posso provare a dire guardando indietro: è passato tanto tempo da quella prima pubblicazione sulla Fiera Letteraria. Ti ricordi il sogno di Elisa in Menzogna e sortilegio? Mi sentii accolta, come Elisa, da una città in festa: "Ma come? Non sapete perché si fa festa oggi? Perché è arrivata Elisa!". Forse a te, che mi incontri adesso, parrà strano ma io non mi sono mai sentita fuori da quello che consideravo il gruppo, la famiglia, se ti piace la categoria - non piace a me - di coloro che leggono e scrivono poesie. Certo è stato più emozionante, per me, leggere le poesie che scriverle. Io non ho letto "tutte le poesie" ma di quelle che ho letto molte le so a memoria, mi piace recitarle. Però, dici tu, hai scritto, hai continuato. È vero. Autoanalisi, compagnia, filosofia? Wislawa Szymborska ha detto molto bene: "... il poeta rimane in silenzio, in attesa di se stesso, davanti a un foglio di carta ancora non scritto". Forse ho voluto, ho saputo, non ho potuto fare a meno di rimanere così a lungo "in attesa di me stessa", senza aggettivi qualificativi. Lasciando, come dice Emily Dickinson, "l'anima socchiusa"». Con quale criterio ha scelto i versi da inserire ne La conversazione nella marea di testi che, presumo, si era nel frattempo accumulata? «Vedi, rimanendo così a lungo "in attesa di me stessa", ero divorata dalla curiosità, mi si affollavano dentro tante domande: ebbene, ogni volta che una poesia era fatta, una domanda, almeno una, era formulata in modo meno oscuro, un po' più precisamente. Ma per fare questo io non sono rimasta, come dice Szymborska, davanti a un foglio di carta ancora non scritto". Sono andata in giro a guardare, ad ascoltare, ho ficcato il naso dove potevo. Per La conversazione ho scelto le poesie che più testimoniano questo girovagare. Nel presentare il libro, Giulio Cattaneo ha notato "la ricchissima varietà dei motivi: si va da scene colte all'aperto, incontri casuali, sogni, a rapporti con gli amici, a figure misteriose uscite da storie e leggende, all'attesa di una invitata, cani e gatti, le carte da gioco, sprazzi di memorie infantili, i giochi e le feste, gli astronauti, l'attenzione ai giovani e ai bambini, le visioni e le fantasie cosmiche..." Vedi che succede a "rimanere in attesa di se stessi" lasciando "l'anima socchiusa"? Un bailamme. È un rischio, un rischio del quale sono ben cosciente. Il rischio che nel corso di questa bella avventura ti si presenti davanti, come in uno specchio, qualcuno che è ben diversa dall'Elisa accolta da una città in festa». Sappiamo che sta preparando il prossimo "libro-bambino"? Come lo sogna, come lo vede? «La conversazione, come io ho provato a farla, con i miei amici, così a lungo, non nasce per caso. Forse gli argomenti, l'approccio, l'incontro stesso, nascono soltanto se prima c'è stato qualcos'altro. Se ci sarà un secondo libro, vorrei che desse conto di questo altro momento. Come lo vedo? Come quando da bambina giocavo a mettere insieme i blocchetti di legno per costruire case e piazze, o con le carte da gioco per fare i castelli, ben. sapendo che le case sarebbero presto crollate e i castelli rasi al suolo. "Case di sabbia, ripari esposti al vento, provvisori", ho scritto in una poesia. Quello che conta, mi pare, è continuare a formulare le domande finché le sentiamo. Pazientemente». |