RAI RADIOUNO Parole e poesia Brevi incontri con poeti italiani - Marina Mariani
S.S. – Marina Mariani, Lei nasce a Napoli e presto si trasferisce a Roma, dove lavora per molti anni alla RAI, in particolare a Radiotre, curando un’interessantissima trasmissione intitolata Pagine, che forse qualcuno dei nostri ascoltatori potrebbe ricordare. Le sue poesie, nel corso degli anni, sono state pubblicate in diverse riviste, tra queste ricordo: Paragone, Nuovi Argomenti, Leggere, e Linea d’ombra; e alcune delle poesie che ha scritto tra il1968 e il 1981 sono state pubblicate in un volume nella Collana Bianca di Einaudi. Il volume è intitolato Nuovi poeti italiani 2 e lo dico perché è un volume che, forse con qualche difficoltà, è ancora reperibile. Da questo volume trarremo la maggior parte delle poesie che ascolteremo in questi nostri incontri. Lei quindi è stata pubblicata, ahimè per noi lettori, molto poco, sicuramente troppo poco. Mi chiedo le ragioni. E’ evidente che è sempre difficile arrivare a un editore. Ha avuto delle difficoltà per ragioni che hanno a che fare con il suo carattere, per esempio è pigra, oppure per scarsa fiducia negli editori, o per quali altre ragioni? Insomma, io trovo che sia abbastanza scandaloso che lei, che fa una poesia che personalmente apprezzo moltissimo, sia stata così poco pubblicata. M.M. – Bisogna pensare che la situazione dell’editoria nel periodo in cui io scrivevo, ho cominciato a scrivere, era molto diversa da quella di oggi, di ora. Adesso c’è una specie di boom, per cui si pubblica molto, non so se si legga altrettanto, allora non era così, e io ho continuato, forse un po’ infantilmente, ad avere nei confronti del libro un atteggiamento di grande rispetto… Per me un libro è una cosa molto importante: è quello che da ragazzi ci consentiva, quando non c’era la televisione, di isolarci da un ambiente che magari non ci somigliava quanto avremmo voluto. Poi forse c’è anche un po’ di pigrizia, non lo nego, poi forse i temi che io tratto non sono particolarmente congeniali a dei letterati che vedono la letteratura in sé, come un valore in sé. Per me è sempre stata un po’ un mezzo, un mezzo per comunicare, un mezzo per esprimere delle cose che solitamente magari non si dicono. Marina Mariani legge la poesia “I miei amici”
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S.S. – Marina Mariani, partiamo sempre dal volume di Einaudi Nuovi Poeti Italiani 2 che rappresenta l'unica, sinora, occasione per chiunque voglia conoscerla, di leggerla. M.M. – Ho continuato a scrivere e alcune poesie sono state pubblicate sulla rivista Linea d'Ombra e su Leggere. Forse è cambiato qualcosa nella mia poesia, nel senso di un sempre maggiore, credo, intervento,diciamo degli altri, dentro la poesia. Sempre, mi sembra, mi distacco di più da una posizione molto centrata su di me, sulla riflessione su me stessa, come era soprattutto nell'adolescenza e nella giovinezza e con una maggiore attenzione, ripeto, alle cose che accadono intorno e una gran voglia di fare entrare "altri" nelle mie poesie, in corrispondenza con una maggiore considerazione della mia identità come somma di rapporti piuttosto che come un nucleo molto individuale. Adesso, e l'ho anche un po' preannunciato in alcune mie poesie, per esempio in una che è uscita qualche tempo fa su Paragone, mi sono orientata piuttosto verso una riflessione su quello che è accaduto "intorno" alle mie poesie, cioè sul tempo che scorreva intorno alle mie poesie, quindi con maggior interesse per una forma di narrazione o di ricordo, di memoria, che forse troverà una strada non più in poesia. Marina Mariani legge la poesia “Sport e cronaca”
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S.S. – M.M., se Lei non avesse scritto poesia - a proposito, immagino che abbia cominciato da giovane, forse adolescente (ce lo dirà adesso) - in quale disciplina artistica, in quale arte pensa che avrebbe potuto versare la sua creatività? M.M. – Mah, ho due risposte, una infantile: il sogno della mia infanzia e della mia adolescenza era di diventare una grande cantante lirica e di essere molto applaudita . S.S. – Lei sapeva cantare, quindi? M.M. – Sapevo cantare. Sono napoletana e cantavo con una certa grazia le canzonette da ragazza, da giovane. S.S. – Lei, per esempio, comincia a scrivere da adolescente. Di getto scrive le sue prime poesie, senza leggere gli altri poeti oppure, invece, comincia presto anche a leggere poesia? M.M. – Ho amato la poesia a scuola. A scuola, con i lirici greci, con i poeti che ho studiato a S.S. – C'è un libro a cui è più affezionata, che legge e rilegge nel corso del tempo? M.M. – Ma… dei libri di poesia… S.S. – Non necessariamente di poesia M.M. – Ma non lo so, adesso sto rileggendo Menzogna e sortilegio di Elsa Morante. Sono contenta di avere tanto tempo per potermici immergere con la stessa passione con cui l'avevo amato da ragazza. Marina Mariani legge la poesia “Dolce amica vecchiaia”
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S.S. – M.M., parliamo della lingua della sua poesia: è una lingua semplice, quindi di facile approccio, diciamo, che affonda i propri motivi spesso (non sempre) nella quotidianità, ma che da questa sa astrarsi per diventare improvvisamente altro e per lanciare il lettore in uno scenario improvvisamente diverso, pur restando all’interno, per esempio, di un’Autobianchi A112 citata in una sua poesia. Quindi c’è una tendenza in qualche modo all’assoluto. Ecco, la drammaticità di certe sue poesie deriva forse anche da questo scarto che a volte quando accade (e accade spesso nelle poesie raccolte nel volume di Einaudi) personalmente lo ritengo molto, molto bello… sono momenti di pathos, in qualche modo, che Lei raggiunge spesso attraverso l’ironia, che non è mai un’ironia gridata, sgangherata, ma appunto per questo è più efficace. M.M. – Mi sta facendo dei complimenti… S.S. – Ma parliamo della sua lingua, ecco. Lei usa una lingua facile, cominciamo a dire questo, per esempio, e questo ci ricollega forse a un discorso che abbiamo affrontato qualche giorno fa sul suo interesse alla comunicazione, al voler comunicare, comunque, ed essere capita quindi. M.M. – Forse la lingua che Lei definisce facile e l’effetto un po’ straniante di certe metafore o associazioni, se io ci penso, posso ricercarlo nelle favole. Il linguaggio delle favole è un linguaggio di parole facili: le favole si svolgono in ambienti che a volte sono molto facili per i bambini; si parla spesso di bambini, di Re, di giardini, ma poi c’è sempre uno scarto, accade qualche cosa per cui c’è qualcosa di molto triste, oppure addirittura di spaventoso, che fa paura. Forse io ho ritrovato, quando ho scritto queste poesie, dei momenti simili a quelli che sentivo…ho ritrovato, quando le ho scritte, la sensazione insieme di quotidianità e di orrore che si prova ascoltando alcune favole. Marina Mariani legge la poesia “Nella casa i bambini” e “Il cane a primavera”
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S.S. – M.M., una sua poesia termina, la cito: “… Ma lasciamo gli occhiali nel cassetto: / la vista annebbiata / è l’unica / possibile”. Questa è una poesia di parecchi anni fa. Abbiamo avuto già modo di dire che una parte della sua produzione, forse una grande parte, non è stata pubblicata; quello che mi interessa sapere è se questo atteggiamento nei confronti della vita (ma uso la parola atteggiamento nell’accezione migliore del termine) è confinato in una certa parte di sé e della sua produzione che appartiene ad anni trascorsi, oppure se in qualche modo si perpetua ancora adesso, cioè la vista annebbiata…; si toglie ancora gli occhiali oppure adesso li inforca, li tiene ben stretti? M.M. – Questa poesia è dei primi anni ’70, se non sbaglio, e riflette un momento difficile. Io ho scritto poesie per cercare la comunicazione. Credo che comunicare sia l’essenza stessa della vita. Probabilmente in quel momento dovevo avere una specie di distacco della spina, una specie di… sentivo una grande difficoltà. Però questo non vedere troppo bene, non vedere perfettamente le cose, penso che si possa anche intendere in un altro modo e cioè, in fondo, che possa riflettere il desiderio di una indulgenza nei confronti delle cose, di noi stessi e degli altri e quindi un modo per non precisare cose che forse fanno male. Marina Mariani legge la poesia “Presso la grande porta…” e “Arrivati a questo punto…”
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S.S. – M.M., ammettiamo che un editore domani, o oggi stesso, si facesse vivo con Lei e le desse l’opportunità di pubblicare, quindi manifestasse l’intenzione di pubblicare un suo libro: Lei preferirebbe pubblicare oggi, nel 1993, una scelta di poesie che non sono state mai pubblicate, ma che a Lei piacciono e che ritiene che valga la pena di pubblicare, oppure preferirebbe pubblicare qualcosa di diverso, per esempio in prosa, qualcosa che magari ha nel cassetto di cui non abbiamo ancora parlato. M.M. – Non lo so, è una domanda difficile perché quello che ho in mente in questo momento è qualche cosa che…insomma, io non vedo molto la differenza tra la prosa e la poesia, almeno nel mio caso. Non credo che la poesia sia di per sé una cosa diversa: ci sono delle poesie e delle prose… Per esempio, un libro come “Il processo” di Kafka non so se è prosa o poesia. La parte della metafora, la parte della sintesi è così forte che francamente non saprei a quale dei due ambiti si dovrebbe assegnare; ci sono dei poemetti molto narrativi, non so, Gozzano stesso, che potrebbe essere forse anche considerato un narratore, in qualche modo. S.S. – La scelta di pubblicare qualcosa di vecchio o di nuovo? M.M. – Ma, io credo che non potrei fare a meno di pubblicare qualcosa di vecchio perché il nuovo sorge sul vecchio e nel nuovo c’è sempre il vecchio. Il nuovo non annulla il vecchio, quindi penso che per sapere, per dire quello che in tutti questi anni ho detto, ho cercato di dire, dovrei riprendere anche le cose di una volta. Marina Mariani legge la poesia “Auguri per il capodanno” |